di Marianna Puglisi – Presentato oggi il decreto legge contenente tutte le misure del pacchetto da 1,5 miliardi per arginare il dramma della disoccupazione giovanile. Così come aveva promesso, il governo è riuscito a trovare fondi da destinare alle misure straordinarie di sostegno all’occupazione senza aumentare l’indebitamento del Paese.
Nello specifico il provvedimento prevede fino ad un massimo di 650 euro di bonus mensile per ogni lavoratore assunto a tempo indeterminato: sgravio concesso per 18 mesi in caso di nuova assunzione, per 12 in caso di trasformazione di un contratto esistente.
Letta parla di un provvedimento che dovrebbe creare “200 mila posti di lavoro in 18 mesi”, i sindacati vedono un “segnale positivo”.
Sicuramente il testo del decreto mette in fila, nero su bianco, tutte le buone intenzioni del governo, ma le ricadute concrete hanno più il sapore di un’offerta caritatevole che di una grande riforma che darà slancio all’economia, non perché i benefit concessi non siano sufficientemente allettanti per le aziende, ma perché i requisiti per essere ammessi a beneficio sono degni dei migliori videogiochi multilivello: sempre più difficile!
In breve, per incentivi destinati prevalentemente alle regioni del Sud, i giovani in oggetto devono avere un’età compresa tra i 18 e i 29 anni, essere senza impiego retribuito da almeno 6 mesi, non avere un diploma di scuola media superiore o professionale, vivere da soli o con una o più persone a carico.
Ecco, a questo punto, in qualsiasi videogioco degno di nota, bisognerebbe uccidere il grande drago! Insomma, un tantino difficile smuovere l’economia a partire da questo provvedimento. Certo il pregio sta nell’aver dato priorità alle regioni in cui la disoccupazione giovanile ha toccato livelli drammatici, nell’aver puntato sui giovani più a rischio di esclusione sociale, fuori dai circuiti formativi e quindi con meno prospettive di trovare un’occupazione stabile.
Sicuramente una cosa buona, dunque, ma che per tantissimi giovani già diplomati e laureati ha il sapore di una beffa. I costanti proclami del governo sull’emergenza lavoro negli ultimi due mesi insieme i dibattiti su soluzioni quali la “staffetta generazionale” hanno fatto pensare- non solo ai giovani in questione, ma soprattutto alle aziende- che qualcosa di più significativo e rivoluzionario sarebbe stata messa in campo, con il risultato che in questi mesi il mercato del lavoro è rimasto immobile: tutti col fiato sospeso ad attendere le agevolazioni del governo.
E poco solleva l’idea di sapere che si riducono nuovamente le pause tra un contratto a termine e l’altro (10 e 20 giorni contro i precedenti 60-90 previsti dalla riforma Fornero) perché partendo dalla logica giusta che “in tempi di crisi, precario è meglio di disoccupato”, si finisce però per penalizzare la generazione Y, quella a cavallo tra i 20 e i 30 anni, quelli che con percorsi di formazione più lunghi, sono entrati nel mondo del lavoro da 2 o 3 anni come precari e oggi non possono dar vita ai progetti di vita a lunga scadenza (acquistare casa, fare figli, ecc..) e contribuire alla crescita economica e demografica del Paese.
Insomma, come sempre le buone intenzioni non bastano, soprattutto se partendo dall’etichetta generica di “giovane”, si concentrano invece su un’accurata selezione di essi; servono invece politiche attive per il lavoro che creino occupazione a 360°, perché in questo Paese la disoccupazione non conosce distinzioni né di genere né di età. Un lavoro serve a tutti, non solo economicamente, ma per la realizzazione di ogni uomo. Del resto non è un caso se nella carta d’identità per dire chi siamo c’è anche la voce “professione”.